
L’utilizzo crescente di tecnologie di self-tracking, come smartwatch, sensori e app per il monitoraggio delle performance, ha trasformato radicalmente il modo di allenarsi, influenzando non solo lo sport a livello agonistico, ma anche quello amatoriale. Tuttavia, un recente studio condotto dall’Institute of Sociology dell’Università di Chemnitz in Germania ha portato alla luce una serie di effetti collaterali legati al tecnostress, una forma di stress psicologico innescata dall’uso intensivo delle tecnologie digitali.
Lo studio, basato sui risultati emersi dalla conduzione di interviste approfondite con atleti amatoriali, aveva lo scopo di identificare e analizzare le fonti di stress generate dal self-tracking. Sono emersi 16 fattori di stress, di cui otto già noti nel contesto lavorativo e otto specifici del contesto sportivo.
Tra i fattori di tecnostress già noti, adattati al contesto sportivo e all’utilizzo di queste tecnologie, figurano: sovraccarico informativo, distrazione durante l’attività fisica, indisponibilità dei dispositivi, perdita di controllo sui dati personali, sensazione di mancato successo, inaffidabilità tecnologica, complessità d’uso e auto-monitoraggio costante. Questi elementi, già studiati in ambito professionale, si sono rivelati altrettanto rilevanti per gli sportivi amatoriali, specialmente quelli orientati alla performance.
Accanto a questi, la ricerca ha individuato otto nuovi fattori specifici dello sport amatoriale: il primo è l’imperativo di miglioramento della performance, che genera pressione continua a superarsi. Segue l’assenza di contesto, ovvero l’incapacità della tecnologia di interpretare condizioni personali come malattie o ciclo mestruale. La visibilità digitale rappresenta un’ulteriore fonte di stress, dovuta alla costante esposizione delle proprie performance su piattaforme social.
Un altro fattore emerso è l’incorporazione del feedback, per cui gli atleti assimilano i giudizi degli strumenti digitali come verità assolute, influenzando la percezione di sé e delle proprie capacità. Collegato a questo aspetto è l’attaccamento ai dati, dove le decisioni sportive vengono guidate più dai numeri che dalle sensazioni corporee. Inoltre, la pressione del confronto con altri atleti o con il sé stesso del passato sui parametri individuati da questi strumenti può minare la motivazione e aumentare l’ansia.
Completano il quadro il monitoraggio permanente, che genera una sensazione costante di sorveglianza, e la discrepanza percettiva, cioè il conflitto tra le sensazioni soggettive e i dati oggettivi raccolti.
Questo studio evidenzia come, sebbene i dispositivi di self-tracking promettano miglioramenti nella prestazione e nel benessere, essi possano anche indurre effetti dannosi, soprattutto se utilizzati senza criterio. In prospettiva, i risultati emersi possono orientare sia lo sviluppo tecnologico verso sistemi più adattivi e personalizzati, sia interventi formativi per atleti e allenatori, promuovendo un uso sano e sostenibile della tecnologia nello sport.